LA LIRA ITALIANA
Storia della moneta del vecchio conio sostituita dall’euro il 1° gennaio 2002


  Ritorna ad Articoli e saggi

Origine della lira

 
L’etimo lira ha un’origine duplice e con significati distinti. Dal greco antico la lýra è uno strumento musicale a corde, con una cassa armonica, a/di guscio di testuggine, e due bracci fissati ad essa e collegati da una traversa. Dal latino la libra, bilancia, è il nome di un’unità monetaria variabile a seconda delle epoche e dei paesi che l’hanno adottata: lira italiana, turca, egiziana e sterlina inglese.
La lira, in francese livre, era stata introdotta da Carlo Magno nel IX sec. e il sistema monetario carolingio si basava sulla libbra ponderale d’argento. Essa rimase in uso come moneta di conto per tutto il Medioevo e, solo a partire dalla seconda metà del XV sec., divenne una moneta vera e propria, ma con valori differenti secondo l’epoca e il luogo.

Nel 1472 fu coniata la lira veneta, nel 1474 quella milanese, nel 1498 quella genovese, nel 1539 quella toscana, nel 1561 quella di Savoia, nel 1611 quella di Modena, nel 1631 quella ducale di Vittorio Amedeo I duca di Savoia e nel 1655 la lira bolognese.
Solo nel 1806, nell’Italia napoleonica, fu emessa per la prima volta la lira italiana, con decreto di Napoleone. Era divisa in centesimi, secondo le regole del sistema metrico decimale introdotto in Francia, a seguito della rivoluzione del 1789.
Finita l’epoca napoleonica, con la Restaurazione seguita al congresso di Vienna, si ritornò di nuovo alle lire dei vari stati italiani e le monete erano metalliche.
La carta moneta aveva fatto la sua comparsa in Italia, nel 1746, con il primo biglietto in lire stampato dalle Regie Finanze di Torino. Essa aveva tagli differenti, che andavano dalle 100 alle 3.000 lire, e l’iniziativa del Regno di Sardegna fu imitata da altri stati italiani.
A causa delle esigenze di copertura delle spese militari, purtroppo, le Regie Finanze avevano ecceduto emettendo carta moneta in continuazione e il tempo n’aveva eroso il valore. Ciò aveva provocato la sfiducia dei cittadini, perciò, con legge 27 luglio 1800, se ne decretava la fine mettendo fuori corso tutti i biglietti in circolazione.
I sistemi monetari dei vari stati italiani erano differenti tra loro e questo complicava molto gli interscambi commerciali.
 
 
Storia della lira italiana
 Il Regio Decreto del 17 luglio 1861 dava corso legale alla nuova lira del Piemonte che, con la denominazione di lira italiana, diveniva la moneta dell’unificazione del regno d’Italia.
Nel 1862, con la legge Pepoli, dal nome del deputato proponente, si dava il via all’emissione di 14 monete: cinque in oro, cinque in argento e quattro in bronzo.
In tal modo s’istituiva un nuovo sistema monetario: quello di Vittorio Emanuele II re d’Italia, che sostituiva i vari sistemi monetari locali preesistenti, nell’ambito dei quali avevano circolato 282 tipi di monete metalliche differenti, di cui 133 in oro, 64 in argento, 34 in eroso (lega d’argento e rame, dal latino aerosum, ricco di rame) e 51 in bronzo o in rame.
Le monete metalliche di Vittorio Emanuele II (1826-1878) riportano sul dritto il suo profilo di re e sul rovescio lo stemma sabaudo, oppure il solo valore facciale della moneta.
 

 
Anche le monete metalliche del suo successore, re Umberto I (1844-1900), hanno sul dritto la testa del monarca e sul rovescio lo stemma nazionale con il valore del pezzo.
Col sistema monetario del terzo re d’Italia, Vittorio Emanuele III (1869-1947), le monete metalliche riportano sul dritto il suo profilo di re o imperatore e sul rovescio immagini allegoriche che, durante il regime fascista, sono accompagnate dal fascio littorio col valore del pezzo.
Umberto II (1904-1893), detto “il Re di maggio”, perché fu re d’Italia dal 9 maggio al 12 giugno 1946, non poté avviare un proprio sistema monetario. Andò in esilio il 13 giugno 1946, perché l’esito del referendum istituzionale aveva sancito la vittoria della repubblica sulla monarchia.
La carta moneta, di grosso taglio, fu introdotta come moneta convertibile, nel senso che il portatore di banconote poteva richiederne la conversione in metallo prezioso presso l’istituto d’emissione, e il suo valore era pari a 4,5 g. d’argento e a 0,29032225 g. d’oro. Essa aveva una circolazione limitata ed era emessa dagli istituti bancari ereditati dal regno d’Italia, quali la Banca Nazionale degli Stati Sardi, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.
Dopo l’unificazione politica dell’Italia, la Banca Nazionale degli Stati Sardi, trasformata in Banca Nazionale nel Regno d’Italia, emetteva le seguenti monete: biglietti di banca al portatore da 25, 50, 100, 500 e 1.000 lire, tutte di misure ragguardevoli; monete metalliche in oro da 5, 10, 20, 50 e 100 lire; monete metalliche in argento da 50 centesimi e da 1, 2 e 5 lire; monete metalliche in bronzo da 1, 2, 5 e 10 centesimi.
Altre due banche, lo Stabilimento Mercantile del Veneto e la Banca dello Stato Pontificio passarono al regno d’Italia, rispettivamente nel 1867 e nel 1870, assieme ai territori di cui facevano parte.
La Banca dello Stato Pontificio, nata nel 1850 dalla trasformazione di una preesistente banca romana sorta nel 1834, col passaggio al regno d’Italia divenne Banca Romana e continuò ad operare come istituto d’emissione. E fu proprio questa sua attività a portarla al centro di un grave scandalo monetario e finanziario in cui, come poté accertare un’inchiesta parlamentare, erano coinvolti alti funzionari ed esponenti politici di spicco, tra i quali anche il presidente del consiglio, il liberale Giovanni Giolitti, costretto a rassegnare le dimissioni.
 

 
Nel 1893 la Banca Romana fu liquidata e accorpata, assieme alla Banca Nazionale Toscana e alla Banca Toscana di Credito, dalla Banca Nazionale nel Regno d’Italia che si trasformò in Banca d’Italia, istituita con la legge n. 499 del 10 agosto 1893.
Sino al 1926 sarebbero stati tre gli istituti d’emissione: Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia. Poi, con la riforma bancaria, la Banca d’Italia sarebbe diventato l’unico istituto d’emissione italiano.
Nel 1866 la carta moneta, da convertibile fu trasformata in moneta inconvertibile, vale a dire a corso forzoso, la cui circolazione era imposta per legge e aveva potere liberatorio per i debitori, in quanto i creditori non potevano rifiutarla come mezzo di pagamento.
Ben presto, però, la moneta cartacea cominciò ad incontrare difficoltà sul mercato, perché la gente preferiva le monete metalliche e tendeva a tesaurizzarle, con la conseguente loro scomparsa dalla circolazione. Allora operatori commerciali e banche, per sopperire alla carenza di moneta spicciola, cominciarono ad emettere biglietti di piccolo taglio, e questo, pur ritenuto un abuso da parte del governo, durò sino al 1874, anno in cui fu concessa l’emissione di biglietti inconvertibili a tutti gli istituti d’emissione. In questo modo, i biglietti di banca ricevevano un impulso alla loro diffusione. Tuttavia, fino alla seconda guerra mondiale, la carta moneta avrebbe conservato l’ancoraggio all’oro e, almeno sul piano legale, anche la convertibilità in oro, che sarebbe stata abolita nel dopoguerra.
Nel 1895 fu emanato il primo regolamento per i biglietti di banca che fissava quanto segue: modalità di fabbricazione, tipo di carta, custodia e controllo per il ritiro e successivo incenerimento dei biglietti logori o danneggiati.
La carta bianca filigranata doveva essere fornita esclusivamente da cartiere italiane e questo fatto sollevò le critiche dei tecnici addetti alla fabbricazione delle banconote, perché i fogli, pur stampati nell’identica maniera, risultavano sempre differenti tra loro.
I nuovi biglietti della Banca d’Italia, ad essa intestati e prodotti sempre con matrice, furono emessi a partire dal 1896 con i disegni preparatori del noto orafo senese Rinaldo Barbetti che, per la sua collaborazione, ottenne il compenso di 2.800 lire.
Una volta messe in circolazione, le banconote furono molto criticate per la banalità del disegno e le carenze nella tecnica esecutiva, che ne avrebbero facilitato la falsificazione. Eppure esse sarebbero state stampate anche nei decenni successivi, rimanendo a lungo in circolazione.
Nel 1910, Giovanni Capranesi, presidente dell’Accademia di S. Luca di Roma, fu incaricato di eseguire i bozzetti per le nuove banconote da 50, 100, 500 e 1.000 lire, ma si dovette arrivare al 1915 perché fossero prodotti i biglietti da 50 lire di nuova concezione: produzione senza matrice e con un peso della banconota, pari alla metà di quello dei biglietti dello stesso tipo prodotti fino allora. Ma la produzione era lenta e irta di difficoltà, a causa della preparazione della carta e dei tempi lunghi di stampa su recto e su tergo. La banconota, prodotta fino al 1920, sarebbe andata fuori corso nel 1950.
Il biglietto da 500 lire fu stampato dal 1919 al 1943, e tra il 1930 e il 1931 si completò il progetto Capranesi con la realizzazione dei biglietti da 100 e da 1.000 lire che, stampati fino al 1943, sarebbero andati fuori corso rispettivamente nel 1950 e nel 1953.
Già all’inizio del Novecento, la Banca d’Italia aveva deciso di organizzare in proprio la produzione della carta filigranata. La sua cartiera fu pronta solo nel 1914, anno in cui cominciò a fabbricare carta in filigrana, anche molto sottile, adoperando la fibra di ramié, ottenuta da una canapa asiatica opaca e molto resistente. In ogni modo essa dovette continuare ad approvvigionarsi dallo stabilimento Miliani di Fabriano, perché la carta prodotta in proprio era insufficiente, anche a causa dei troppi difetti che si riscontravano man mano nei fogli stampati.
Nel 1928 era creato, come ente di diritto pubblico con responsabilità giuridica, l’Istituto Poligrafico dello Stato. Sottoposto al controllo da parte del ministero del tesoro, che alla fine del Novecento sarebbe confluito nel superministero dell’economia, aveva il compito di provvedere all’intero fabbisogno grafico e di stampa della pubblica amministrazione: stampa di biglietti di banca, francobolli e marche da bollo, carta bollata e moduli; pubblicazione della Gazzetta Ufficiale e della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica; stampa di libri d’arte, testi antichi rari ed enciclopedie.
Durante la seconda guerra mondiale, entrò in funzione il nuovo stabilimento costruito appositamente a L’Aquila per la stampa dei biglietti nei tagli da 50, 100, 500 e 1.000 lire. In esso si producevano anche le banconote che potevano circolare solo nell’Africa Orientale Italiana e quelle per l’Albania, la cui lira aveva lo stesso valore intrinseco di quella italiana.
Le banconote prodotte a L’Aquila dal 22 maggio 1942 riportano, sul margine inferiore destro del recto, la scritta – Officine della Banca d’Italia – L’Aquila, invece di Roma.
L’8 dicembre 1943, lo stabilimento di L’Aquila fu centrato dalle bombe dell’aviazione americana e, oltre ai gravi danni subiti, vi furono numerosi morti. Avrebbe continuato a produrre con difficoltà fino all’11 giugno 1944, quando le macchine, ormai ferme da giorni per mancanza d’energia elettrica, furono minate dai tedeschi in ritirata verso il nord.
A Roma, negli anni 1942-43, erano ancora prodotti i biglietti di vecchio tipo disegnati dal Barbetti, perché il parco macchine era antiquato.
Nell’ottobre 1943 l’Istituto Poligrafico dello Stato sospese la sua attività, e l’avrebbe ripresa dopo la fine della guerra, perché le sue macchine furono requisite dai tedeschi e trasferite all’Istituto Geografico Militare di Firenze.
Il Governo della Repubblica Sociale Italiana di Salò iniziò a trasferire al Nord parte degli uffici amministrativi della Banca d’Italia, mentre le riserve auree della Banca prendevano la via di Fortezza (BZ) con destinazione Berlino. Di queste ultime, solo una parte, quella ritrovata dagli Alleati, sarebbe stata riportata a Roma e riconsegnata alla Banca dopo la guerra.
Tra il 1943 e il 1945, la produzione monetaria continuò nell’Italia settentrionale negli stabilimenti dell’Istituto Italiano Arti Grafiche di Bergamo, delle Officine Alfieri e Lacroix di Milano e dell’Istituto Geografico De Agostini di Novara.
Nel 1943, nell’Italia del sud, dopo lo sbarco degli Alleati, fu messa in circolazione la moneta d’occupazione americana, costituita dalle Am-lire. Essa, emessa nello stesso valore della moneta italiana, contribuì ad alimentare una consistente inflazione. Recava la scritta Allied Military Currency ed era nei tagli da 1, 2, 5, 10, 50, 100, 500 e 1.000 lire. Sarebbe cessata dal corso legale nel 1950.
A Roma, nel 1945, la cartiera della Banca d’Italia riprendeva la sua attività e la produzione monetaria era realizzata presso lo Stabilimento Staderini e l’Istituto Poligrafico dello Stato.
Nel dopoguerra i nuovi biglietti della Banca d’Italia da 50, 100, 500 e 1.000 lire erano fissati in conformità ad un decreto del 1944 che prevedeva dimensioni identiche, carta bianca satinata filigranata in pasta e una testina turrita dell’Italia sul recto dell’ovale di sinistra.
L’ultima lira del Regno, la lira “Impero”, fu coniata tra il 1939 e il 1943, la prima lira della Repubblica, la lira “Arancia”, fu emessa tra il 1946 e il 1950.
A causa della forte perdita di potere d’acquisto della lira, furono abolite le monete metalliche in centesimi e si procedette ad un incremento del valore dei tagli nella serie delle banconote. Si decise di produrre le 5.000 e le 10.000 lire, che entravano in circolazione nel 1951. Finalmente cominciavano a circolare anche i biglietti di banca del sistema monetario repubblicano.
Nel 1956 entravano in circolazione le monete metalliche da 50 e 100 lire. Nel 1957 erano coniate le 20 lire in bronzital e nel 1958 le 500 lire d’argento in milioni d’esemplari. Questa moneta, servita per celebrare nel 1961 l’Unità d’Italia e nel 1965 il 7° centenario della nascita di Dante, cessò la circolazione nel 1970.
 

 
Tra il 1938 e il 1964 il valore della lira si era ridotto di cento volte e, tra il 1962 e il 1964, la Banca d’Italia cominciò a produrre banconote, più piccole di dimensioni, di nuova concezione e simili a quelle degli altri Paesi del MEC.
Il MEC, il Mercato comune europeo, come correntemente si chiamava la CEE, Comunità economica europea, nacque dall’accordo di Roma del 25 marzo 1957, quale consequenziale evoluzione della CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio, creata, con il trattato di Parigi dell’aprile 1951, dai sei paesi fondatori: Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio, Olanda e Lussenburgo.
La CEE sarebbe diventata Unione europea, col trattato di Maastricht del 1992.
Ma le motivazioni profonde dell’UE si fanno risalire alla seconda guerra mondiale e alle immani tragedie che essa causò, e alla volontà di far sì che non si verificassero più in futuro.
Il primo a proporre l’integrazione europea fu il ministro degli Affari esteri francesi Robert Schuman, il 9 maggio 1950, e tale data è ricordata ogni anno come la Festa dell’Europa.
Il progetto delle banconote di nuova concezione era di Florenzo Masino Bessi e tendeva a celebrare la genialità italiana: l’effige di Michelangelo per le 10.000 lire e quella di Verdi per le 1.000 lire del 1962, quella di Colombo per le 5.000 lire del 1964.
Del 1967 sono le 50.000 lire con l’effige di Leonardo e le 100.000 lire con quella di Manzoni.
Nel 1970 erano utilizzate l’immagine di Galilei per la banconota da 2.000 lire e quella di Tiziano per la 20.000 lire.
Negli anni Sessanta, per la lotta contro i falsari, diventati sempre più abili e intraprendenti, si escogitavano nuovi sistemi di difesa contro la contraffazione, come il filo di sicurezza metallizzato inserito nella carta filigranata della banconota da 1.000 lire.
Anche negli anni Settanta la Banca d’Italia proseguiva una lotta serrata ai falsari e, sul recto delle banconote, i personaggi famosi erano sostituiti con particolari d’opere d’arte o immagini inventate dai preparatori dei bozzetti. Ciò per costringere i cittadini a guardare con attenzione le banconote che gli passavano per le mani.
Negli anni Ottanta si dovette risolvere l’esigenza tecnologica del riconoscimento e controllo automatico delle banconote.
La carta filigranata, contenente sempre il filo di sicurezza verticale, fu colorata lievemente con fibrille luminescenti, e la nuova serie di banconote prodotta presenta sul recto le seguenti celebrità nazionali: Marco Polo sulle 1.000 lire, Bellini sulle 5.000 lire, Volta sulle 10.000 lire, Bernini sulle 50.000 lire, Caravaggio sulle 100.000 lire.
Gli anni Novanta vedevano il perfezionamento dei sistemi di sicurezza esistenti e l’introduzione della microscrittura, del filo di sicurezza, con scritta leggibile in controluce, e dell’inchiostro a doppio effetto di colore.
Sul recto della banconota da 1.000 lire è effigiata la Montessori e su quella da 2.000 lire Guglielmo Marconi.
L’ultima banconota creata dalla Banca d’Italia è quella col valore nominale più alto: la 500.000 lire con l’effige di Raffaello, nel settembre del 1997. Una chiusura alla grande – con il botto finale, verrebbe da dire –, per una moneta, la lira italiana, ossia un pezzo fondamentale di storia patria, che nel bene o nel male ha accompagnato e scandito momenti fausti e momenti infausti vissuti dalla nostra nazione.
Di lì a poco più di quattro anni, tutte le monete in lire sarebbero state ritirate dalla circolazione per essere distrutte, come le monete degli altri Stati dell’UE, fatta eccezione per quelle di Gran Bretagna e Danimarca, che avevano scelto di non aderire al sistema euro, nonostante che tra i propositi e le speranze poteva esserci quello di competere, a livello mondiale, con lo strapotere del dollaro USA.
 
 
Abolizione della lira e conseguenze dell’introduzione dell’euro
 
La lira italiana, moneta del vecchio conio, è stata la nostra moneta ufficiale sino al 31 dicembre 2001, dopo di che è entrato in vigore l’euro, sotto forma di banconote e monete metalliche, l’attuale moneta legale di una buona parte dei 25 Paesi aderenti all’UE, l’Unione europea, che ha introdotto anche i centesimi.
Il valore di un euro è pari a lire 1936,27.
L’euro non ha reso felici gli europei. E ciò non dipende da quella sorta di spada di Damocle, che è il rischio di sforamento dei parametri di Maastricht, che porta, da parte della Commissione europea di Bruxelles, all’apertura della procedura per infrazione nei confronti di quegli Stati che non rispettano il patto.
Questa nuova moneta è fonte d’insicurezza, perché rispetto a prima ci si sente tutti più poveri. E la cosa inquieta non poco la gente.
E poi tra le Istituzioni europee e i cittadini d’Europa esiste una lontananza, non solo geografica. Insomma i popoli dell’Unione avvertono che i loro problemi reali, quelli d’ogni giorno, restano fuori delle stanze del potere di Bruxelles, anche a causa di una non adeguata democratizzazione delle strutture politico-burocratiche che si è andati istituendo in questi anni.
 

 
Le vittorie del no, il 29 maggio in Francia e l’1 giugno 2005 in Olanda, alla votazione per i referendum sulla costituzione europea, hanno infranto il tabù dell’ideale europeista e complicano non poco le cose. Sono una battuta d’arresto nel cammino dell’integrazione politica europea, che alimenterà nuovi interrogativi sul futuro dell’Unione e delle sue istituzioni.
Il governo inglese, invece, il referendum confermativo della costituzione europea lo ha congelato, rinviandolo sine die.
Come se non bastasse già questo, i ministri leghisti del governo italiano di centrodestra, Roberto Maroni prima e Roberto Calderoli dopo, si sono lasciati andare a dichiarazioni personali a favore di un ritorno alla lira italiana, provocando un vespaio di polemiche, la presa di distanze da parte di qualche membro del governo cui essi appartengono e accuse di disfattismo da parte dell’opposizione di centrosinistra.
Non sono pochi coloro che hanno nostalgia della lira: politici, finanzieri e operatori economici. Quando in passato l’Italia veniva a trovarsi in gravi difficoltà sui mercati internazionali, i problemi si risolvevano a colpi di svalutazione della nostra moneta. Ci guadagnava soprattutto chi nel frattempo era riuscito a portare i suoi capitali all’estero.
Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, uno dei fautori dell’introduzione dell’euro, non perde occasione per rassicurare gli italiani, asserendo che l’Italia, grazie all’euro, che ha consentito bassi tassi d’interesse, ha potuto evitare crisi finanziarie serie e ha goduto di una stabilità monetaria mai conosciuta prima dell’introduzione dell’euro.
La storia economica c’insegna che, tra le cause dell’inflazione, c’è da annoverare il cambio di moneta. Ed è quanto è avvenuto in Europa e soprattutto in Italia, dove i prezzi hanno subito una repentina corsa al rialzo.
L’Europa intera, grazie all’euro, ha trovato un’innegabile stabilità, ma ha smarrito la via dello sviluppo.
Se è vero che il costo della vita è rincarato in tutta l’Europa, l’Italia, caratterizzata da ritardi nelle riforme strutturali e da una crescita troppo lenta, è penalizzata anche dalla globalizzazione, perché a paesi come India e Cina, che inondano i mercati mondiali con merci a prezzi bassi, è in pratica impossibile far concorrenza.
L’Italia ha perso competitività e la stagnazione si fa sentire pesantemente, riducendo in modo preoccupante la crescita del Pil, il Prodotto interno lordo.
Nella consuetudine commerciale, che si è venuta consolidando in questi pochi anni di vita dell’euro, né desiderata e né auspicata dai cittadini-consumatori, un euro equivale sostanzialmente alle vecchie mille lire e i venditori di beni e servizi se ne approfittano.
Gli esperti sostengono che è mancato un controllo sui prezzi, attraverso l’istituzione di un’autority o di un osservatorio nazionale serio e severo, che avrebbe dovuto coordinare gli osservatorii periferici, preposti alla sorveglianza sugli aumenti dei prezzi dei beni di consumo.
La situazione è pesante per un’ampia percentuale di famiglie italiane. Le statistiche sono preoccupanti: è cresciuta la fascia dei nuovi poveri, il cui tenore di vita si posiziona ad un livello assai più basso, rispetto a quando c’era la lira. E la cosa allarmante è che tra le categorie sociali meno protette, quali pensionati a basso reddito, disoccupati, single e separati, sono scivolati anche i giovani, vale a dire la parte sociale più vitale che rappresenta il futuro della nazione. Essi, non trovando un lavoro sicuro, sono costretti ad accontentarsi di occupazioni saltuarie e mal pagate.
Se ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese un lavoratore che uno stipendio lo percepisce, immaginarsi quali e quanti salti mortali è costretto a fare chi un impiego non ce l’ha, o svolge solo un lavoro precario!
Insomma non mancano i problemi seri da affrontare e risolvere per il nostro Paese, e sarà dura rimettersi in carreggiata per rimanere al passo con i paesi economicamente più avanzati.
E chissà se basteranno il tanto elogiato ingegno italico e l’impegno di tutti, per non scivolare verso le posizioni dei paesi più poveri e meno fortunati!
 
 
Aneddotica irpina sulla lira
 
In Irpinia, fino alla seconda metà del Novecento, circolava questo detto: Li màncunu dicinnòve sòldi p’apparà la lira! (Gli mancano diciannove soldi per mettere insieme una lira!).
Si usava con riferimento a persone povere in canna, che non riuscivano a sbarcare il lunario.
È probabile che tale detto risalga al Medioevo, quando la moneta di conto, la lira di denari piccoli, equivaleva a 20 soldi, e un soldo era pari a 12 denari piccoli. Per gli affari importanti, invece, si adoperava la lira di denari grossi, pari a 240 soldi.
Bisogna aggiungere che nel Meridione esisteva la lira tornese, moneta metallica coniata nel Regno delle due Sicilie sino al 1860. Equivaleva anch’essa a 20 soldi, e quindi il detto summenzionato potrebbe anche avere avuto un’origine successiva al Medioevo.
 Questo articolo, pubblicato dalla rivista trentina UCT, è nell’archivio del sito www.angelosiciliano.com.
 
Zell, 7 giugno 2005                                                      Angelo Siciliano